La Corte di Cassazione con la sentenza n. 3869/2019 torna ad affrontare la questione dell'importo dell'assegno di divorzio in relazione alle utilità godute dal coniuge richiedente nel corso del matrimonio.
Nel caso di specie il coniuge il Tribunale aveva riconosciuto in favore del "coniuge debole" un assegno di mantenimento pari ad € 3000. La parte beneficiaria aveva appellato la sentenza chiedendo una somma maggiore (€ 10000) in considerazione del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, del patrimonio del coniuge ma soprattutto del fatto che in costanza del matrimonio aveva goduto di una abitazione di particolare pregio e che sarebbe stato difficile trovarne una equipollente con l'assegno che le era stato riconosciuto.
La Corte d'appello rigettava le doglianze ribadendo la correttezza dell'assegno riconosciutole ma la Suprema Corte, successivamente, cassava la decisione d'appello accogliendo il ricorso.
La Suprema Corte, nel ritenere fondata la doglianza, ribadisce alcuni principi in materia di assegno divorzile; in particolare:
a) la funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, assegnata dal legislatore all'assegno divorzile, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall'ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi;
b) all'assegno divorzile in favore dell'ex coniuge deve attribuirsi, oltre alla natura assistenziale, anche natura perequativo-compensativa, che discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, e conduce al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente non il conseguimento dell'autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, alla formazione del patrimonio comune, nonchè di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all'età dell'avente diritto;
c) alla stregua dei suddetti principi, la Corte di appello non solo non ha privilegiato i principi introdotti da Cass. Sez. U. n. 18287 del 2018, ma inoltre non appare avere adeguatamente valutato la disponibilità e la fruizione nel corso del matrimonio della casa familiare di elevate caratteristiche di pregio, tali da non renderla fungibile con qualsiasi altra abitazione reperibile nel medesimo Comune a costi contenuti.